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Uomo Ragno #55

 

Vacanze Romane pt VI

 

Di Yuri N. A. Lucia

 

 

 Nei pressi di Villa Falconieri, Roma – Mercoledì ore 10,45 p.m.

 

 

L’Uomo Ragno era atterrito e al contempo come ipnotizzato ed affascinato da quello spettacolo che pareva uno squarcio onirico nella realtà.

Le fiamme dorate si levavano alte e fiere verso il cielo, come imprigionate da un turbine e proiettavano figure oscure sulle facciate degli antichi palazzi dalle cui finestre si erano affacciati gli spaventati occupanti, quasi una bizzarra rappresentazione di ombre cinesi.

Al centro di quella torre di fuoco che rischiarava l’erebo e faceva rilucere il Tevere di sinistri bagliori, c’erano Quest e Polidori.

Il primo era ormai quasi irriconoscibile: la mandibola strappata via, il braccio destro ed i seni mutilati, la pelle arsa in modo orribile in più di un punto, l’unico arto superiore puntato davanti a sé, a proiettare una qualche sorta di barriera che lo proteggeva dalla distruzione totale.

Il secondo stringeva i denti in modo spasmodico, facendosi sanguinare le gengive, la bocca atteggiata in un ghigno feroce, gli occhi crepitanti di viva luce, i muscoli tesi sino all’inverosimile, quasi sul punto di strapparsi esplodendo.

Evocava forza da ogni dove: dai san pietrini, dai marmi, dai muri e dai tetti, dai porticati e dai fori, dai circhi e dalle statue, dalle piante che crescevano sui muri e a ridosso dei marciapiedi, dagli alberi, dalle gocce d’acqua del Tevere stesso, dai gatti, dagli umani la cui famiglia viveva da almeno sette generazioni all’interno dei confini della città, dalla sommità dei sette colli, da tutti i passi che avevano carezzato le consolari e le viuzze di Roma, da tutti i giuramenti in cui era stato fatto il suo nome, da ogni sospiro, lacrima, o sorriso ad essa rivolto, da ogni sogno consumato nel corso dei secoli e rimasto a galleggiare nel limbo della sua memoria.

E la Forza, vitale, selvaggia, ferina, ardente, rispondeva all’appello del Guardiano dell’Urbe Eterna, attraversando l’aere, facendolo ribollire e mandando scintille e scariche, convogliandosi in esso, pervadendone le carni, scivolando guidata dal sentiero dei pensieri verso l’anima.

Essa fermentava rapidamente, e subito ribolliva come un etereo magma arancione verso l’esterno, premendo contro le difese nemiche che già stavano cedendo, infiltrandosi in ogni piccolo spazio che trovava, allargandolo.

-         CHI SEI TU IN REALTÀ?-

Tuonò attraverso l’aere una voce che non era più una voce.

Carica di sprezzante sfida, rispose allo stesso modo Polidori.

-         COLUI IL QUALE PORRÀ FINE ALLA TUA PERMANENZA SU QUESTO PIANO CHE TI È ALIENO. QUALUNQUE COSA TU SIA, SEI GIUNTO AL CAPOLINEA. –

-         AH! QUANTO POTERE, SI MA QUANTA PRESUNZIONE! CREDI DAVVERO CHE SIA COSì FACILE AVERE RAGIONE DI ME?-

-         FACILE O NO, STAI CEDENDO. NON CAPISCO ANCORA BENE COSA TU SIA MA ERI COMUNQUE PROVATO GIà DA PRIMA E ADESSO TI STAI LOGORANDO RAPIDAMENTE. NON PUOI VINCERE STAVOLTA, NON PUOI AVERE LA MEGLIO SU DI ME COME FIN’ORA HAI FATTO CON TUTTI I TUOI AVVERSARI. SE TI CONCENTRI UN ISTANTE, CAPIRAI ANCHE IL PERCHÉ-

Quest sgranò improvvisamente l’unico occhio rimastogli e sussultò.

-         IMPOSSIBILE!-

-         BRAVO! HAI CAPITO FINALMENTE! HAI VISTO LA VERITÀ. TU NON TI STAI BATTENDO CONTRO DI ME. NON SOLO. TU STAI COMBATTENDO CONTRO TUTTA LA CITTÀ! LA SUA COSCIENZA SI È RISVEGLIATA, E DALLA SUA PIÙ RECONDITA FOGNA, ALLA PIÙ GLORIOSA ALTEZZA, È PERCORSA DA UN BRIVIDO DI DISGUSTO PER LA PRESENZA DI CHI NE MINACCIA L’ESISTENZA. IL DISGUSTO STA DIVENENDO SEMPRE  PIÙ RABBIA E  DESIDERIO DI VENDETTA ED ORA TI STA ROVESCIANDO ADDOSSO OGNI ONCIA DELLA SUA FORZA MILLENARIA. POTEVI BATTERMI QUEST, SI, È LA VERITà. MA UN INTERA UN’ INTERA CITTÀ E LA SUA STORIA?-

Stavolta la sorpresa fu di Polidori. Un urlo, come il ruggito della tempesta, si levò da Quest e il muro di luce che minacciava di travolgerlo fu ricacciato indietro, sbalzando improvvisamente il mago verso il Tevere. La sua corsa fu interrotta dal tempestivo intervento dell’Uomo Ragno che lo prese tra le sue braccia.

“Grazie…”

Mormorò Polidori che pareva esausto.

“Non c’è di che. Suppongo che ora le cose però non si stiano… mettendo… per il meglio…”

Il Ragno aveva difficoltà a parlare per via del suo speciale sesto senso che continuava a martoriare senza sosta il suo cranio, quasi volesse fuggirsene verso l’esterno e abbandonare quel luogo così carico di pericolo come mai gli era capitato di percepire.

“Non direi… guardalo… questo numero gli è costato caro. Non ne ha approfittato per attaccarmi mentre ero indifeso. Deve radunare le forze e gli ci vorrà qualche altro secondo. Io invece posso contare su un’inesauribile e vivente batteria: Roma. Solo che ora mi servirà a me qualche istante per… ouch!”

“Non mi pare che tu stia così bene” osservò il Tessiragnatele” Da come ti tieni il fianco, devi avere almeno un paio di costole incrinate.”

Con tono rassicurante Polidori gli rispose:

“Non sarebbe la prima volta. Ci sono abituato… piuttosto vai da Rugantino…”

“Rugantino non ha bisogno di me, è perfettamente in grado di…”
”Va da Rugantino!” Insistette in un sussurro appena percettibile il mago” Ora ha bisogno di te…”

Non aggiunse altro e, con passo fermo, si diresse verso la bolla dorata in cui fluttuava Quest.

L’Uomo Ragno, anche se confuso, si apprestò a far quanto gli era stato chiesto.

 

Warwolf era allibito. Nella sua forma licantropica era ben più forte di un comune essere umano, cosa che evidentemente Mr Weird non era.

Il suo pugno avvolgeva come una morsa quello del giovane romano che digrignava le zanne per il dolore mentre le sue ossa scricchiolavano paurosamente. Si trovavano a qualche centinaio di metri dalla scena del combattimento rispettivamente del loro padrone ed alleato. Una folla di curiosi si era radunata lì in torno e qualcuno stava persino facendo foto e riprese con apparecchi digitali.

Le lacrime cominciarono a cadere dagli occhi di Romeo, ormai piegato sul ginocchio, mentre con l’altra mano tentava disperatamene di artigliare il polso dell’avversario. I suoi artigli erano così affilati e resistenti che potevano incidere il metallo ma in quel momento non riuscivano a penetrare sufficientemente in profondità per recidere arterie o tendini.

Sentiva intorno a sé i commenti della piccola folla che andava aumentando. Erano spaventati e al tempo stesso come preda di una folle esaltazione che li spingeva ad urlare frasi spesso sconnesse, incitazioni, maledizioni, a ridere e fare persino battute.

Sentiva i loro sguardi su di sé, ed era come se attendessero con febbrile impazienza il momento in cui lui avrebbe ceduto.

Odiava quella sensazione, così come odiava essere impotente e non poter reagire. Nella sua mente, come un’orda selvaggia, si affollavano le immagini di quando era bambino ed era preda dei più grandi e dei più forti. L’uscita di scuola dove immancabilmente era vittima di spintoni e schiaffi sul collo. L’umiliazione di essere picchiato e di non poter neanche piangere perché minacciato di percosse ancora più violente.

La paura lo stava piegando, ancora più del dolore.

La paura in cui era vissuto per tanto tempo e che non lo faceva dormire la notte, intasandogli la gola e mordendogli il cervello.

La paura che lo derideva beffarda e che lo riduceva ad un balbettante schiavetto preda di tutto e tutti.

La paura di cui ora, gioioso, si nutriva Weird.

Ne stava ricevendo molto più di quanto si sarebbe aspettato ed ormai quella fonte, era persino superiore a quella rappresentata dalla somma di tutti i presenti.

Sorrideva sardonico, minaccioso, gli occhi stravolti dalla follia e vagamente luminescenti, il sudore che imperlava la fronte, l’ebbrezza dello stordimento che quel lauto pasto gli procurava.

Le vene del collo erano gonfie, i muscoli pulsavano tutti, il membro era eretto rivelando la sua eccitazione prossima all’orgasmo.

Strinse ancora di più la presa mentre l’altro tentava inutilmente di liberarsi, agitandosi come un bimbetto terrorizzato.

“Allora, palla di pelo! Cos’è? Non eri tu quello che avrebbe dovuto aprirmi in due? Quello che mi avrebbe fatto pentire amaramente di essere nato? Tutto qui? Male, palla di pelo, perché non mi sono minimamente pentito di essere nato né, per tua sfortuna, sono ancora aperto in due ma sono ben integro e sano. Non credo che la stessa cosa tra un po’ si potrà dire di te.”

La sua forza aumentava di secondo in secondo e presto avrebbe potuto avere tranquillamente la meglio anche su l’Uomo Ragno e non vedeva l’ora di vendicarsi di quanto era successo alla fortezza Saracina alcune settimane prima.

 

Rugantino bruciava, preda del delirio mistico che l’aveva improvvisamente colpito. Sapeva che c’era quell’eventualità e che Polidori avrebbe potuto ricorrere all’aiuto dell’Urbe ed era disposto a correre il rischio. Il rischio stava arrivando sotto forma di Perfection che era stravolta dalla rabbia per quanto stava accadendo al suo amato signore.

“Lurido porco bastardo! Maledetto tu ed i tuoi schifosi amici!”

Rugantino stava con la schiena appoggiata alla facciata di un palazzo nei pressi del buco dove c’era stato un garage e dal quale erano emersi tremando, incapace di muovere un solo muscolo.

“Da una signorina graziosa come te mi aspetterei un altro tipo di linguaggio…”

Riuscì solo a rispondere caustico. Boccheggiò sotto la maschera mentre avvertì che il suo corpo veniva improvvisamente avvolto in invisibili spire che su ogni millimetro, esercitavano una pressione sempre maggiore, stritolandolo inesorabilmente.

“Ora che c’è rotto in culo?! Non scherzi più?! Non posso aiutare il mio signore ora ma posso far fuori te!!!”

Rugantino socchiuse gli occhi velati di lacrime e mentre il mondo si offuscava si chiese se fosse infine giunto, dopo tanto tempo, il momento di rimettere l’anima al creatore o a chi per lui.

 

 

East Side, New York City – Giovedì ore 12,13 a.m.

 

Il terzetto di ragazzi in costume osservava la polizia arrivare proprio in quel momento e far irruzione nel magazzino. Gli agenti che si trovarono di fronte allo spettacolo di uomini malconci svenuti in terra e dell’ingombrante esoscheletro in cui il pilota si dimenava disperato, decisero subito essersi trattato di un’operazione, l’ennesima, condotta da vigilantes in costume e partirono subito le scommesse sul chi ne fosse stato l’autore: Devil, l’Uomo Ragno, Moon Knight, Capitan America;

l’Uomo Rana era soddisfatto, anche se gli dolevano terribilmente la schiena e le ginocchia. Eugene pensò che avrebbe dovuto ulteriormente perfezionare il nuovo esoscheletro le cui sospensioni erano decisamente ancora da registrare. Sentì la mano di Phantom Rider che gli si posava amichevolmente sulla spalla e vide il suo sorriso che la maschera tirata su fino al naso non nascondeva più. Era un sorriso soddisfatto e pieno d’orgoglio che contribuì ancora di più ad esaltare quella gioia che ora Eugene sentiva spandersi prepotentemente nel cuore.

“Idioti.”

Il commento duro e tagliente ruppe all’improvviso l’incanto di quella vittoria tanto sudata ed anelata ed entrambi si voltarono all’unisono verso Blue Bird che li fissava con le braccia incrociate sul bel petto.

Gli occhi dorati della maschera mandavano bagliori inquietanti e le sopraciglia disegnate su di essa le davano un aria minacciosa e ferina.

“Non mi sembra carino rivolgersi così ai tuoi compagni di squadra.”

Dopo alcuni secondi di silenzio sia la ragazza che Phantom sbottarono in un sonoro:

“Cosa?!”

Eugene tirò su la maschera di Uomo Rana e sorridendo allegramente ripeté con tranquillità:

“Ho detto, non è carino rivolgersi così ai tuoi compagni di squadra.”

Derek era rimasto completamente spiazzato e non sapeva che cosa dire, e non sapeva neanche dove il suo amico volesse arrivare.

Bird invece gli si fece d’appresso e puntandogli il dito all’altezza del viso cominciò a sibilargli contro:

“Tu non ti rendi neanche conto di quello che hai rischiato stanotte! Quelli la dentro stavano per farvi la pelle ad entrambi e né tu, né quest’altro buffone che sembra il super eroe dei gelatai vi sareste salvati se non fossi intervenuta io…”

“E’ vero.”

Ammise senza nessun problema Eugene che aveva l’aria di chi era disposto ad ascoltare pazientemente qualsiasi rimprovero gli venisse rivolto contro, cosa che fece infuriare ancora di più la giovane vigilante.

Questa prese a picchettargli con forza con l’indice sul petto e riprese la sua ramanzina:

“Hai una faccia come il  culo mr! Anzi, ti farei notare che ora so pure come sei sotto quella maschera da carnevale che indossi! Non posso crederci! Sei un campione di irresponsabilità e sembra non fregartene niente! Se fossi una specie di pazza psicopatica, ora  saprei chi cercare e potrei venire a casa tua e far fuori te e la tua famiglia!”

“E perché una mia compagna di squadra dovrebbe farlo?”

“Io non sono una tua fottuta compagna di squadra! Se lo ripeti un’altra volta solamente ti cancello quel sorrisetto ebete a furia di pugni!”

“Io invece lo ripeto ancora: sei una mia compagna di squadra.”

Fece calmo e divertito lui.

“Eu… Uomo Rana, sarebbe meglio non stuzzicarla,” fece Phantom Rider avvicinandosi ai due piuttosto preoccupato” non credo stesse scherzando a proposito di quei pugni.”

“Il tuo amico pare avere più sale in zucca di te, anche se per seguirti in questa impresa mi viene da dubitarne.”

“Phantom Rider, stai tranquillo. Lei non mi colpirà mai.”

“E cosa te ne fa essere tanto sicuro?”

“Perché se sei qui è stato per salvarci e non per farci del male. Vero Dorothy?”

Calò nuovamente il silenzio. Derek rimase a bocca aperta, Blue Bird una maschera impassibile, Eugene trionfante.

“Che diavolo stai dicendo, sottospecie di pazzo salterino?...”

“L’unica cosa possibile. Blue Bird è sempre accorsa in aiuto di tutti quei giovani vigilantes che stavano per farsi seriamente male. Come faceva a trovarsi sempre nel posto giusto al momento giusto?

Semplice: sapeva dove trovarsi perché erano le persone stesse che lei salvava a dirglielo.

Tutti quelli a cui hai parato le chiappe, sono avventori del Bar del Greenwich, e chi è che gira sempre per i tavoli, ascoltando le conversazioni degli aspiranti super eroi?

Indovina un po’? Phantom Rider, hai notato i particolari? La fisionomia della nostra Blue Bird è molto simile a quella della nostra Dorothy.  Altezza, stazza, forma della bocca e persino l’atteggiamento del corpo e…”si bloccò visto che stava per dire il sedere, cosa che Phantom capì al volo senza però riuscire a trattenere una risatina” anche se cerca di modificare la voce, è inconfondibilmente la sua così come il suo spirito caustico. L’altra volta è stata ben attenta a recitare la parte dell’eroina preoccupata ma benevola e devo confessarti, caro amico mio, che proprio la sua recita mi aveva messo fuori strada ma sai una cosa? Guarda qui.” Così dicendo prese da un contenitore nella sua cintura qualcosa che pareva un lungo filo e anche l’attenzione della ragazza ora era completamente catalizzata da Eugene.” Me lo sono ritrovato addosso la volta scorsa che ci ha salvato. Sulle prime pensavo fosse un suo capello, visto il colore e, per pura curiosità gli ho fatto dare un’occhiata da Capitan Scientific Investigations, ed indovina che cosa mi ha detto?”

“Che era sintetico!”

Disse con improvvisa esultanza Phantom. Ora anche lui guardava divertito Blue Bird e stavolta era lei ad essere rimasta con la bocca aperta.

“Indovina un’altra cosa. Quando siamo tornati al bar e servivi ai tavoli, mi sono accorto che sulla spalla, avevi un filo biondo. Tu porti i capelli rasati e le ciocche lunghe che hai sono nere. Ho fatto due più due e non è stato difficile capire la verità.”

Stavolta furono Eugene e Derek a rimanere spiazzati. La ragazza, senza aggiungere altro, si tolse la maschera e poi la parrucca che indossava. Non era stato il gesto in sé a stupirli ma l’espressione del suo volto e le lacrime che lo avevano cominciato a rigare.

“Dorothy…” Fece Eugene, mosso da un forte senso di tenerezza mentre cercava di decidere cosa fare.

“Eugene, Phantom, “ disse con vece triste ma ferma” ve ne prego: smettetela di fare tutto questo. Non potrò sempre accorrere in vostro aiuto per salvarvi. Un giorno o l’altro ci rimetterete la vita.”

Non aggiunse altro, si voltò e corse via, spiccando un balzo che la portò sul vicino tetto.

Derek, vinto l’iniziale stupore, fece per inseguirla ma l’amico lo richiamò.

“Phantom, no.”

“Ma, Eugene, lei…”

“E’ stata colpa mia. Non dovevo essere così brutale nel dirle che sapevo del suo segreto.”

“E’ stato incredibile! Perché però non mi hai detto subito la verità?”

“Perché non la sapevo.”

“Cosa?! Aspetta… hai detto che…”

“Phantom, secondo te quando ho avuto tempo di andare da Capitan Scientific Investigations per fargli vedere il capello?”

Derek rimase ammutolito e poi disse:

“Hai bluffato! Non sapevi che fosse Dorothy!” “Lo sospettavo.”

“E da quando?”

“Quando ho rivisto la sua bocca e ho capito che cosa mi ricordava la prima volta che ci ha salvato: mi ricordava quella di Dorothy.”

“Però il discorso sul come Blue Bird facesse a conoscere le mosse di tutti era convincente.”

“Si.”

“Rana… perché lo fa?”

“E perché noi facciamo tutto questo?”

“Perché è giusto?”

“Ti sei appena risposto.”

Phantom Rider assentì. Guardò un attimo verso dove la ragazza si era diretta, incapace ormai di scorgerne la figura.

“Cosa intendevi con: compagna di squadra?”

“Quello che ho detto. Vieni, andiamo a casa ora. Abbiamo entrambi bisogno di un pasto caldo e di dormire un po’. Domani ci daremo da fare.”

“Io, dovrei… voglio dire, sto già dando tanto disturbo in casa dei tuoi. Forse sarebbe meglio se… oh, diamine Eugene, non mi hai ancora chiesto come e dove io viva!”

Il ragazzo gli pose le mani sulle spalle e con infinita tenerezza gli disse:

“Sarai tu a dirmelo quando sarai pronto. A casa mia c’è sempre posto per un vero amico. Andiamo, ci aspetta il polpettone della zia e un letto caldo.”

Mentre fianco a fianco si allontanavano nella notte, era Phantom Rider che in quel momento piangeva come prima aveva fatto Blue Bird ma le sue, a differenza di quelle della ragazza, erano lacrime di gioia.

 

 

Ospedale Saint James, Manhattan, New York City – Mercoledì ore 15.00 a.m

 

 

Scott teneva penosamente le mani sul volto, quasi a voler impedire ai suoi occhi di vedere ancora le immagini che lo tormentavano.

Tutto si era svolto in pochi, troppo pochi, secondi: il sospetto era saltato giù dal tubo lungo il quale era fuggito proprio nel momento in cui erano sopraggiunti loro e aveva subito estratto un’arma, una Glock Target, senza dar loro tempo di reagire adeguatamente. Continuava a maledirsi perché la paura aveva preso il sopravvento, paralizzandolo e impedendogli qualsiasi azione. Per un istante la pistola gli era stata puntata contro mentre la sua era ancora abbassata e aveva sentito il gelido tocco della tetra signora sfiorargli la schiena. Si era raccomandato l’anima a Dio in un solo secondo e non era stato in grado di fare nulla. Invece era stato Mansel a venire steso dal colpo ed ora si trovava in sala operatoria da tre ore. Non riusciva a smettere né di tremare, né di singhiozzare mentre ancora e ancora, rivedeva il corpo dell’amico accasciarsi a terra all’improvviso, e una pozza di sangue dipanarsi da esso.

“Quel ragazzo è finito. Commentò freddamente O’Neil Non puoi coprirlo Terry, lo sai bene, non stavolta. Ha fatto una cazzata troppo grossa e la commissione disciplinare ci andrà giù dura.”

Rucker stava guardando dall’altra parte, in direzione del corridoio dove era passata la barella con su Mansel e, dopo alcuni istanti di silenzio:

“No, stavolta non posso fare nulla. Scott e Mansel sono stati due pazzi a gettarsi nella mischia senza giubbotto antiproiettile e senza coordinarsi con il resto della squadra. Avevano degli ordini precisi e li hanno trasgrediti: per questo hanno pagato; Mansel lotta per la vita mentre Scott se la passerà davvero brutta. Quelli della disciplinare ci andranno a nozze ed i capi vorranno che tutto venga risolto in fretta e subito. Dopo quello che è successo tra la faccenda dello Scorpione e dei Jong, la polizia non può permettersi altra pubblicità negativa. Neanche Arthur può far nulla.”

Commentò, pronunciando quelle ultime parole con una tristezza disarmante, tale che il collega non riuscì a trattenere uno sguardo carico di comprensione.

“Tutto questo è uno schifo, Terry. Abbiamo perso due bravi poliziotti in un giorno solo. Anche se Mansel ne venisse fuori, la sua vita cambierà radicalmente e ammettendo che la commissione grazi Scott, psicologicamente è distrutto.”

Rucker rifletté su quelle parole e stancamente aggiunse:

“Devo prenderlo quel bastardo.”
L’altro assentì e disse:

“Ha toccato un poliziotto ed adesso non avrà di certo la vita facile. Nessuno sbirro della grande mela gli darà tregua o si risparmierà per beccarlo. Inoltre ora l’abbiamo visto e anche se non sappiamo che faccia ha, lui non è comunque più un fantasma per noi e questo lo sa bene.”

“Cercherà un altro fornitore di armi e munizioni per la sua crociata, ora che ha ammazzato il suo. Battere l’ambiente dei trafficanti d’armi per ora è l’unica. Dobbiamo anche indagare su possibili connessioni tra quello che è morto e i potenziali sospettati che ci ha indicato il criminologo.”

“Pensi che testa d’uovo possa averci azzeccato?”

“Perché no? Non abbiamo niente da perdere.”

Terenzio Oliver Rucker guardò ancora una volta davanti a sé e si chiese cosa in quel momento, stava facendo o pensando, l’assassino che aveva ridotto Mansel in fin di vita.

 

 

32esimo Distretto di Polizia, Manhattan – Giovedì ore 9.00 a.m.

 

 

Come promesso da Rucker, i detective che presero la sua deposizione non le fecero troppe domande e la lasciarono andare piuttosto presto. Quando aveva chiesto dove fosse il poliziotto, non le avevano saputo rispondere e al cellulare non rispondeva.

Avrebbe voluto ringraziarlo per quello che aveva fatto per lei e, a dire il vero, avrebbe voluto ringraziarlo per tutto quello che aveva fatto per la sua famiglia.

Aveva dato ospitalità a Peter quando era rimasto ferito durante il combattimento con lo Scorpione e se ne era preso cura per tutto il tempo della degenza. Era un buon amico per suo marito e aveva dato prova che lo poteva essere anche per lei. Sorrise pensando che fosse proprio una brava persona. Doveva assolutamente invitarlo a cena e doveva invitare anche Kaine che era stato così gentile e comprensivo con lei. Desiderò ardentemente poter sentire suo marito in quel momento e si rese conto che era da un paio di giorni con non ne aveva notizie e quella storia dell’attacco di una specie di sentinella a Roma, l’aveva lasciata piuttosto scossa. Non poteva credere che lui non ci fosse stato in qualche modo immischiato.

Vide Martin che dall’altro lato della strada la salutava e sua sorella che le sorrideva con gli occhi inumiditi dalle lacrime. Quando li raggiunse lui esordì allegramente:

“Signore e signori, ecco a voi miss M.J., la tigre, Watson! Prossima detentrice del titolo mondiale di boxe! Allora, come mai non ci hai mai detto di avere il temperamento di una super eroina?”

“Perché? Non ve ne eravate mai accorti? Accidenti, allora siete piuttosto distratti.”

“Oh, Mary! Quando l’ho saputo non ci potevo credere!”

Esclamò la sorella abbracciandola con forza mentre ormai non riusciva più a trattenere le lacrime. Non si trattava di lacrime di  tristezza ma di gioia.

“Shhh, Gayle. E’ tutto a posto.”

Martin le guardò con tenera comprensione e dopo aver fatto un cenno col capo a Mary Jane, si allontanò di qualche passo in modo da lasciare le due donne alla loro intimità familiare.

La sorella più grande parlò:

“Tutto questo tempo. Tutti questi anni. Anche se era in prigione ho sempre avuto paura che prima o poi sarebbe tornato nelle nostre vite e avrebbe in qualche modo potuto rovinarle nuovamente. Ora l’incubo è davvero finito e sei stata tu, con il tuo coraggio, a porgli termine. Devi assolutamente raccontarmi tutto.”

“E lo farò! Però prima è meglio andare a casa a rinfrescarsi un po’, non credi? Lasciami dire un paio di cose a Martin. Ti ha accompagnata lui, vero?”

“Si, è stato molto caro. Sembra proprio una brava persona.”

“Lo è. Ora dammi un minuto.”

Mary Jane si avvicinò all’amico che stava guardando alcune nubi che passavano pigramente su di loro e ne richiamò l’attenzione con un colpetto di tosse.

“Oh! Scusami. Sai, sin da quando ero bambino le nuvole mi hanno sempre affascinato. Forse perché sono così in alto, e sembrano non aver preoccupazioni mentre corrono lungo i cieli.”

Lo aveva detto con il tono con cui avrebbe potuto dirlo un bambino e lei gli sorrise divertita.

“Mio caro poeta e sognatore, volevo ringraziarti per aver accompagnato mia sorella e per tutto quello che hai fatto.”

“Non dirlo neanche per scherzo! Ci mancherebbe altro. Sei la mia attrice di punta e non sia mai che io non ti dia una mano se posso.”

“Invece sei stato veramente un amico Martin, e di questo non me ne dimenticherò mai.”

Gli dette un bacio sulla guancia e lo salutò, dirigendosi con la sorella verso un taxi chiamato poco prima.

Si salutarono con un cenno del capo e si preparò a tornare a casa.

 

Mary Jane aveva dato alla sorella, alla cugina e alla zia, una versione molto edulcorata di quanto successo in realtà, tralasciando molti particolari, praticamente tutto quello che era accaduto dopo averlo preso alle spalle. Si era soltanto limitata a dirgli che dopo averlo immobilizzato con le sue calze, gli aveva intimato di lasciare in pace la sua famiglia quando questi si era ripreso.

“E’ sempre stato un vero buono a nulla. Commentò con severità Anna Non credevo però potesse cadere così in basso. Mi vergognerei di essergli sorella, se non fosse per il fatto che mi ha dato due nipoti meravigliose come voi. Phil, a parte voi due, non ha mai combinato nulla di buono e alla vostra povera madre, pace all’anima sua, non ha fatto altro che dare una serie di dolori, uno più grande dell’altro.”

“La mamma,commentò con tristezza Gaylenon è mai riuscita a fare quello che hai fatto tu, M.J.: tenergli testa.”

“La mamma è stata sempre innamorata di lui. Nonostante tutto quello che le ha fatto passare, sperava sempre che si sarebbe ravveduto e sarebbe cambiato. Non poteva farci niente. Non voleva farci niente. Per quanto ci amasse, e per quanto potesse provare rabbia per quello che le faceva subire, lei lo voleva. Anche il suo ultimo giorno sulla Terra, deve aver sperato nel suo cambiamento.”

Rimasero tutte e tre in silenzio, ognuna chiusa momentaneamente nel proprio personale dolore mentre riviveva mentalmente la triste vita di una donna che doveva aver vissuto l’inferno dentro di sé, divisa tra il rancore e l’amore.

Mary Jane si alzò e si diresse in cucina, intenzionata a mettere su un po’ di te quando il telefono prese a squillare.

Si bloccò un attimo, fissando vacuamente l’apparecchio, ancora persa nelle proprie riflessioni e poi, dopo essersi passata una mano tra i folti capelli rossi, si diresse verso di esso per rispondere.

“Pronto? Si, questa è casa Parker. Come? Ah, si, certo che mi ricordo. A proposito, come stai? Tutto bene? Mi dispiace per quello che ti è successo, Peter mi ha raccontato tutto. No, non è ancora rientrato dal… suo viaggio di lavoro in Europa. No, l’ho sentito due giorni fa e stava bene. Veramente no, non saprei come… ah, va bene, certo ma, è successo qualcosa? No, non sono impegnata… ok, possiamo vederci lì, lo conosco bene. Tra un’ora? Va bene. A dopo…”

Mise giù la cornetta e quando si girò incontrò lo sguardo interrogativo di sua sorella che si era alzata. Quasi ad anticipare la sua domanda le rispose:

“Era una ragazza che lavora come segretaria al laboratorio dove Peter è impiegato. Ha detto che doveva parlargli, si trattava di una cosa urgente e quando le ho detto che non è ancora tornato mi ha detto se poteva intanto parlare con me.”

“Spero non sia nulla di grave.”

Disse Gayle.

“Speriamo. Ora vado a preparare un po’ di te da berci assieme.”

E mentre si dirigeva in cucina si chiese che cosa potesse volere da lei Ilya.

 

 

Greenwich Village, New York City -  Mercoledì ore 5 p.m.

 

Stephen Strange, ex mago della neuro chirurgia ed ora Mago Supremo della Terra, sedeva al centro di un grande pentagramma disegnato su di un tappeto, con gli occhi chiusi e nella posizione detta del loto, nudo, mentre i fumi di incenso e verbena che bruciavano nei cinque bracieri d’ottone posti ai vertici di ogni punta, lo avvolgevano formando altrettanti anelli. Sommessamente, ritmicamente, cantilenava mantra vecchi quanto il mondo stesso, e lasciava che dentro di sé il proprio micro cosmo si espandesse e si contraesse sempre più rapidamente.

Il Sancta Sanctorum era immerso nel più assoluto silenzio, e nemmeno la caotica vita newyorkese riusciva a penetrare con il suo chiassoso fragore all’interno di quella sfera di quiete apparentemente sospesa su abissi ancestrali oltre l’umana comprensione.

Il rituale della purificazione mediante l’apertura dei chacra era in realtà molto semplice e qualsiasi mortale avrebbe potuto tentarla conoscendo le giuste forme e le basilari tecniche respiratorie.

Ovviamente non trattandosi di un normale mortale, esso assumeva un significato più profondo e aveva effetti ben più spettacolari di quanto comunemente avrebbe avuto.

Sentì l’energia mana scorrere lungo l’asse che collegava tutti i punti e condensarsi sul chakra scarlatto sopra la propria fronte.

Era una sensazione netta ma al contempo delicata, quasi come se una fiamma stesse bruciando ma anziché consumare, rigenerava.

L’Antico e lui avevano spesso praticato insieme il rito ed era un momento non solo di ristoro ma anche di profonda comunione tra i due, in cui le reciproche differenze e distanze parevano sfumare e in cui potevano sentire distintamente soprattutto ciò che li legava l’uno all’altro.

Ricordo con grande piacere, quando fu lui ad insegnarlo a Rintrath e come quell’allievo tanto bizzarro ma così tanto amato, attendeva con gioia  quel momento così come era toccato a lui anni prima.

Intorno a lui l’ambiente stava divenendo solo una vaga impressione, la cui realtà era meramente legata alla percezione e lasciava lentamente il posto alla visione della struttura primaria su cui il flusso del tempo scorreva, dipanando ciò che la maggior parte dei senzienti nell’Universo definiva Realtà.

Un sottile raggio di luce scarlatta fuoriuscì allorché aprì il suo terzo occhio e illuminò il sentiero degli accadimenti che si srotolava maestoso davanti. Come tutte le volte, provò un fremito e si sentì rapire dalla bellezza di quello spettacolo oltre ogni comprensione.

Corrugò la fronte e storse la bocca quando avvertì improvvisamente il fremito nel dweomer del pianeta.

Aprì gli occhi e mormorò:

“Che cosa…”

L’immagine levitava proprio di fronte a lui, ormai a circa sei centimetri dal tappeto.

“Polidori?”

Il Mago era meravigliato. Non  credeva avrebbe rivisto tanto presto il quel giovanotto. Il loro ultimo incontro non si era concluso esattamente in maniera amichevole.

Se si trovava lì doveva esserci un motivo più che valido.

NON HO IL TEMPO DI SPIEGARTI TUTTO NEI PARTICOLARI ANCHE SE DALLA VIBRAZIONE CHE HA SCOSSO IL DWEOMER DELLA TERRA DOVRESTI AVER INTUITO L’URGENZA DELLA SITUAZIONE. HO BISOGNO DEL TUO AIUTO MAGO SUPREMO. IO, IL GUARDIANO DELLA CITTÀ ETERNA E DEI SUOI ARCANI SEGRETI, INVOCO FORMALMENTE L’INTERVENTO DEL PREFERITO DELL’ANTICO.

“Qualunque sia la minaccia, non ti ho mai visto così serio e determinato… e sento che qualunque cosa sia, sta facendo vibrare persino la sezione di spirale cosmica in cui si trova il nostro mondo.

Nel nome dell’antico patto, io Stephen Strange concedo a te, Giovanni Guglielmo Polidori, l’antico…”

TAGLIA CORTO! ALLE FORMALITÀ CI HO Già PENSATO IO! ORA DAMMI UNA MANO!

Strange sorrise fissando con comprensione la sbiadita proiezione astrale. Allungò la mano e questa la prese con decisione. Il fascio di luce, per un istante, ritornò all’interno del passaggio da cui era fuoriuscito.

I chakra esplosero in una fiammata di liquida luce che si riversò nella stanza, riempiendola competamente.

 

I newyorkesi erano famosi in tutto il mondo per la fretta che contraddistingueva il loro spostarsi. La Grande Mela era di per sé una città frenetica e sempre in movimento e raramente si concedeva delle pause, anche perché ben poco riusciva ad impressionarne gli abitanti.

C’erano ovviamente delle eccezioni.

Per alcuni istanti calò il silenzio mentre tutti si chiedevano, non senza paura o ansia che cosa fosse stato lo scintillio scarlatto che per un paio di secondi si era visto praticamente ovunque.

 

 

 

Installazione segreta nel Jersey – Mercoledì, ore 04 .00 a.m.

 

 

Leon Kavanagh osservò pazientemente Daphne Miles del P.H.A.D.E. contemplare l’abisso che tutti chiamavano il Pozzo dall’alto della passerella sulla quale si trovavano entrambi. Era vestita con giacca e pantaloni coordinati, grigio scuri, dal taglio elegante ma non eccessivamente formale. Dovevano esserle stati preparati appositamente da un sarto perché coprivano le sue forme senza nasconderle. I suoi capelli erano leggermente scompigliati da una corrente d’aria calda che proveniva dal basso e lasciò languidamente che le accarezzasse il volto per qualche minuto mentre chiusa in un silenzio d’acciaio, rifletteva su quanto accaduto.

Si voltò nella direzione del responsabile della sicurezza e chiese ancora una volta:

“E’ sicuro si tratti di questo Raabe?”

L’ambiente intorno a loro era immerso nella semi oscurità, rotta solo dalle morbide luci al neon verdi e rosate che erano entrate in funzione per sostituire quelle dell’impianto danneggiato durante l’attacco avvenuto il giorno prima.

La cupola su di loro dava l’impressione di uno scintillante grembo materno che li avvolgeva, proteggendoli dal mondo esterno che continuava la sua vita, ignaro di quanto accaduto a pochi metri sotto la sua superficie. C’era un forte odore, cordite mista ad ozono, disinfettante e prodotti chimici per lavare via il sangue e quanto rimaneva delle vittime del paraumano.

Intorno a loro si intravedeva qualche figura che mestamente passava lo straccio in terra senza alzare la testa. Lì dove si trovavano nessuno poteva sentire quello che si sarebbero detti.

Il veterano si fece avanti, avvicinandosi alla giovane ufficiale dell’ente che segretamente, da diversi anni, finanziava quell’installazione, un microcosmo di corridoi, ballatoi, ponti mobili, laboratori, stanza, sale ricreative, mense, bagni collettivi, monorotaie, ascensori e scale in metallo.

Chi veniva dall’esterno, di ritorno magari da una licenza, accoglieva sempre con gratitudine l’onnipresente sussurro. Così il popolo di Base P. chiamava confidenzialmente il continuo ronzio di sottofondo che viaggiava portato dall’eco nella grande installazione. A questo si assommava anche ogni parola, ogni respiro, ogni risata, ogni grido proveniente dagli abitanti della base ed in un certo senso, quando ci si abituava talmente tanto a sentirlo da non farci più caso, diveniva l’invisibile compagno che diceva a tutti di non essere soli ma di far parte di qualcosa di più grande, di nobile, di possente. Non si riusciva più a dormire tranquillamente quando se ne veniva privati.

Per molti quel posto era divenuto casa e l’attacco subito, aveva portato il caos e lo scompiglio: era stata rotta l’inviolabilità di quel tempio della scienza e tutti ne erano rimasto atterriti, arrabbiati, frustrati; Kavanagh rientrava tra quelli che provavano una grande rabbia anche se nascondeva benissimo la cosa.

“Si, Adrian Raabe, di anni 38. Addestramento di tipo militare, un corso speciale seguito nell’allora Unione Sovietica e poi la Stasi nell’ex Germania dell’Est. Lo chiamavano il Lupo d’acciaio. Quando l’impero comunista cominciò a sfaldarsi insieme al muro, prestò i suoi servigi per l’M-6 britannico e dopo due anni si dette al libero professionismo lavorando anche per il Governo U.S.A. nell’America Latina.”

“Ne deduco che ora non sia più al soldo degli Stati Uniti.”

“Da molto tempo. Raabe è un libero professionista ora e i suoi servigi sono piuttosto cari, anche se come può vedere, disse indicando con un ampio gesto della mano una zona dove erano ancora evidenti le macchie di liquido scarlatto e i fori dei proiettili nelle pareti la qualità è indiscutibile.”

“Da come ne parla, direi quasi che lo ammira.”

Disse lei con tono vagamente infastidito.

“L’efficienza è sempre da ammirare, di chiunque sia.”

Daphne alzò il sopraciglio e sembrò considerare solo per la prima volta la questione da quel punto di vista. Il quasi sessantenne capo della sicurezza era quello che si poteva definire un uomo tutto d’un pezzo. Aria composta ed algida, un volto duro ed affiliato il cui carattere distaccato ed autoritario era messo ancora più in risalto dai grigi capelli tagliati corti e portati alla foggia dei militari. Mento e guance erano ben rasati ed il suo sguardo distaccato e allo stesso tempo intenso.

Provò ammirazione per quel individuo che pareva incapace di scomporsi o perdersi d’animo di fronte a nessuna difficoltà.

“Bene Capitano Kavanagh, e che cosa suggerisce di fare?”

“Raabe ha agito su commissione. La nostra intelligence ci ha già fatto un nome.”

“Non me lo dica…”

“…Quest.”

“Quest! E’ incredibile! Quel miserabile è una spina nel fianco del P.H.A.D.E. da anni! Mi sta dicendo che per recuperare i due campioni dovremmo arrivare fino a lui?”

“No. Sapevano che se fossero riusciti a rubarli avremmo tenuto d’occhio ogni possibile via di fuga dal paese e si devono essere nascosti in un posto dove pensano di essere al sicuro. Stiamo cercando tra i contatti di Raabe.”

“Spero che le vostre indagini portino a risultati certi! Quelli del Direttorio non sono per niente soddisfatti.”

“Non faccio mai promesse. Chiedo solo che ci lasciate lavorare.”

“In questo momento, se tiene conto che vi siete lasciati rubare da sotto il naso dei campioni per i quali sono stati spesi milioni di dollari e anni di ricerca, non siete nella posizione di chiedere nulla.”

“Ma se vogliamo ottenere qualcosa, dobbiamo farlo.”

“D’accordo. Kavanagh ha 48 ore di tempo.”

“Grazie signora. E per il direttore?”

“Toninev se la dovrà vedere con il Direttorio. Per ora la base cade direttamente sotto il suo comando. Almeno fino a nuovo ordine la situazione è questa.”

Kavanagh lanciò a sua volta un’occhiata nell’abisso e sospirò.

 

Toninev stava in piedi da quasi quaranta minuti, illuminato da un fascio di luce che si sprigionava direttamente dal pavimento e ne disegnava i contorni avvolgendolo in un alone smeraldino.

Si rende conto di cosa questo significhi per noi e per il Governo? Le devo forse ricordare quanti milioni di dollari sono stati spesi per questa ricerca? Finanziarla ci è costato quasi quanto la Guerra del Vietnam. Il Laboratorio P potrebbe tranquillamente consumare il prodotto interno lordo di una nazione come Montecarlo. Lei è più grande esperto vivente di mesoni, la sua conoscenza è superiore persino a quella posseduta da Yukawa, da Powel e Lattes. Dopo tutti questi anni di attesa lei si è lasciato sottrarre da sotto il naso quello per cui ha lavorato con passione e dedizione in prima persona.

Lo scienziato aveva ascoltato tutto pazientemente, senza dare segni di stanchezza o di insofferenza ma neanche di timore o rabbia.

Attese che la voce sprigionatasi dall’oscurità terminasse e poi, con grande calma:

“Qualcuno all’interno di P. ha tradito. E’ l’unica spiegazione possibile e voi ne siete stati ampiamente informati. E’ tre ore che sono in sala interrogatori. Questo è assurdo. Vi rendete conto che io sono l’anima del progetto e non solo: sono di fatto il capo della struttura e ormai la conosco meglio di quanto ho mai conosciuto tutti i posti dove ho vissuto nel corso degli anni. Cosa volete fare? Mettermi paura? Punirmi per il mio fallimento? Se lo reputate giusto, ammazzatemi, ora, senza ulteriori sprechi di tempo, così potrete mettervi seriamente al lavoro per catturare i bastardi responsabili di quanto accaduto e recuperare i tre elementi transuranici. Altrimenti lasciatemi andare e fatemi fare il mio lavoro.

Dobbiamo ritrovarli, sapete bene che produrne altri tre nella stessa quantità richiederà almeno un anno e mezzo.”

Silenzio rotto solo dal sussurro che riusciva ad infiltrarsi anche in quel ambiente chiuso e tributato alle tenebre.

Toninev continuava a guardare davanti a sé, le braccia conserte, negli occhi la stessa indomita fierezza di tutti i giorni, la determinazione stampata sul suo volto.

Può tornare al suo posto. Ci tenga informati passo per passo. Vogliamo sapere tutto quanto. D’accordo?

“Come sempre.”

Non aggiunse altro e non aspettò neanche di sentire se avessero altro da aggiungere. Si diresse con sicurezza verso l’uscita camminando attraverso il buio che non lo atterriva minimamente. La porta si aprì quando gli arrivò ad un paio di centimetri di distanza e gli rivelò un corridoio che si estendeva alla sua destra e alla sua sinistra apparentemente all’infinito, completamente pervaso da una tenue luce azzurrina. Le guardie lo guardarono momentaneamente interdette, scambiandosi uno sguardo e poi, portarono un dito all’altezza dell’auricolare e assentirono per una sorta di riflesso condizionato.

“Allora! Ne abbiamo ancora per molto?”

“Ci scusi direttore! Ora la accomp…”

“Voi non farete niente del genere. Mi avete preso per idiota o cosa? So ancora dove si trova il centro di comando. Piuttosto mettetevi al lavoro e guadagnatevi la paga. Convergete dove serve davvero la vostra presenza. Ed ora via! Non voglio più avervi tra i piedi per un po’.

Si girò sui tacchi, diretto verso il più vicino ascensore per raggiungere l’unico posto dove sentiva dovesse essere in quel momento.

Quelli del P.H.A.D.E. non scherzavano e lui lo sapeva. L’avevano mandato a prelevare dalle guardie per interrogarlo e fino a quel momento aveva retto bene alla tensione ma sapeva che se si fosse dimostrato men che deciso, l’avrebbero ucciso senza pensarci due volte.

Serrò i pugni e strinse i denti. Aveva meditato a lungo su chi avesse potuto tradire ed era arrivato ad un’unica conclusione plausibile. A loro non l’aveva detto perché voleva riservarsi il diritto di assaporare per primo la vendetta. Ghignò feroce mentre tornava ad occupare il posto che gli era sempre spettato.

 

- è stato saggio fidarci nuovamente di lui?-

-Toninev è fortemente motivato. È ancora l’uomo più adatto a ricoprire questo ruolo.-

-Non doveva accadere proprio ora! Siamo stati miopi. Quest ci ha gettato fumo negli occhi per non farci capire quali erano i suoi piani.-

- Del resto non potevamo prevedere che avrebbe tentato qualcosa del genere.-

- Lo abbiamo sottovalutato. Pensavamo di essere noi a dargli la caccia ed invece è stato lui a colpirci.-

-Daphne è ancora con quel Kavanagh?-

-Si.-

- Non mi piace. Passa troppo tempo con loro e si comporta sempre più spesso come loro, anche in privato. Nutre un insana passione per essi, lo dimostra la decisione di coinvolgere l’Uomo Ragno nella nostra guerra personale. –

- L’Uomo Ragno è solo una pedina. –

- L’Uomo Ragno è un elemento pericoloso. Non facciamo l’errore di sottovalutare lui ora. Si, il comportamento di Daphne è decisamente pericoloso e andrà al più presto richiamata all’ordine. Ora che il nostro piano è giunto quasi nella fase conclusiva, non possiamo più permettercene permetterci errori. È imperativo recuperare i tre elementi transuranici ed iniziare la produzione su larga scala degli ordigni mesonici.-

Il silenzio che seguì fu il tacito assenso del coro di voci senza volto che andò spegnendosi discretamente tra le ombre.

 

 

 

Roma, nei pressi di Villa Falconieri. – Mercoledì ore 10.55 p.m.

 

L’Uomo Ragno arrivò silenzioso, ombra tra le ombre, alle spalle di Perfection che stava per uccidere Rugantino. Questi era preso in una morsa telecinetica, e nonostante la maschera fosse scura, erano distinguibili le chiazze di sangue all’altezza del naso e della bocca.

Agì rapidamente e la prese da dietro, stringendole la gola  nell’incavo del braccio.

“Non mi sto nemmeno sforzando e lo sai. Se volessi potrei romperti il collo come se fossi uno schiaccianoci perciò allenta la stretta sul mio amico.”

Il vigilante romano non dava segni di miglioramento ed anzi, venne sollevato alcuni metri da terra mentre Perfection sghignazzava divertita:

“Altrimenti? Altrimenti che cosa? Andiamo, non mi farai credere che sei disposto ad uccidermi? Ti conosco Ragno, non è nel tuo stile.”

“Non è nel mio stile uccidere a sangue freddo ma per salvare una vita… disse aumentando improvvisamente la stretta e provocandone lo svenimento lo farei se fosse strettamente necessario. Come vedi però ora non lo è stato. Sogni d’oro bellezza.”

Corse immediatamente dall’amico romano per sincerarsi delle sue condizioni.

“Hey numero uno! Tutto bene?”

Quello tossì pesantemente e si tirò su la maschera fino alla bocca per poter vomitare un misto di succhi gastrici e sangue. L’odore e lo spettacolo non erano dei migliori ma con gli anni Peter si era abituato anche a vedere di peggio e lo aiutò a rimettersi in piedi.

Rugantino aveva le labbra spaccate ed aveva la parte visibile del volto impiastricciata di liquido rosso.

“Ho un paio di costole rotte ma non è niente a cui non possa sopravvivere.”

“Mi sembri messo peggio di uno che ha un paio di costole rotte.”

Sottolineò l’Uomo Ragno.

Sopravviverò ugualmente.”

“Hai un fattore rigenerante?”

“Si.”

Ammise con un sorriso l’uomo davanti a lui e poi, ponendogli una mano sulla spalla.

“Comunque grazie. Ora però non c’è tempo. Vai dal ragazzino e dai una mano a lui.”

“Hai ragione. Fuori c’è un inferno. Quest e Polidori si stanno scagliando contro tutto quello che hanno. Tu rimani qui.”

“Contaci…”

L’arrampicamuri si assicurò che Perfection fosse ancora svenuta e le bloccò braccia e gambe con la tela. Poi corse da Warwolf mentre Rugantino si poggiò con la schiena ad una parete fredda ed umida e si lasciò cadere in terra.

Era un vero guaio. Perfection aveva spezzato il ponte con Polidori ed ora si sarebbe trovato privo del suo aiuto. Doveva ristabilirlo e subito, per il bene di tutti.

 

Romeo piangeva come un bambino, mentre l’altro lo stava massacrando a furia di pugni sul capo. Sentì le ossa incrinarsi e prossime alla rottura e ormai sapeva che non poteva fare più niente. Era lì, avvolto dai bagliori arancioni e dorati di una battaglia che andava ben oltre la propria comprensione e dinnanzi a sé non c’era più Weird ma suo padre, tornato ancora una volta per ripetergli quanto fosse stupido ed inutile, e quanto la sua incapacità fosse deleteria per chi gli stava intorno.

Poi scivolò indietro nel tempo, e si ritrovò di nuovo a quel giorno, quando Stella urlava e piangeva e lui non poteva far altro che tremare dalla paura.

Chiese ancora una volta perdono per quel suo peccato e annaspò mentre le mani di Weird si stringevano come una morsa intorno al suo collo, sollevandolo da terra come se non avesse peso.

Ed era così che oramai si sentiva: senza alcun peso né consistenza, quasi tutta la sua vita fosse stata null’altro che una sorta di sogno sgradevole giunto al suo termine; Stella era lì, coperta di sangue e lo fissava implorando il suo aiuto e lui in terra che urlava, supplicava, incapace di qualsiasi azione fino a quando…

In quel momento di delirio capì che quanto stava rivivendo non lo aveva ricordato mai veramente bene prima di allora. La sua stessa mente si era imposta di dimenticare vigliaccamente tutto, incapace di fronteggiare la responsabilità della sua incapacità e della sua debolezza ma ora si stava sfaldando, rovinando verso l’oblio, insensibile al dolore che tormentava il suo corpo scosso dai brividi delle morte.

La bava colò copiosa sulle mani della guardia del  corpo di Quest che sputò in terra disgustato.

“Che schifo! Non solo sei una palla di pelo disgustosa ma non hai neanche alcun rispetto per il prossimo! Ti pare educazione questa?!”

Lo schernì feroce e poi, con aria schifata:

“Cazzo! Guarda che cosa hai combinato!!!”

Osservò con disprezzo l’orina che colava lungo la gamba del ragazzo mentre la piccola folla che si era assiepata intorno non riusciva a distogliere lo sguardo da quello spettacolo terrificante e al tempo stesso morbosamente affascinante. Non capitava tutti i giorni di assistere al massacro di qualcuno.

Il colpo giunse alle spalle inaspettato e Weird mollò la presa sul moribondo licantropo che cadde così sui grigi sampietrini illuminati dalla luce sovrannaturale che proveniva dalle loro spalle.

Ruotò su sé stesso, digrignando i denti, ma il braccio sferzò solo l’aria.

Grugnì quando sentì lo stomaco comprimesi per l’effetto di un colpo violentissimo e venne scagliato contro l’entrata di una gelateria, sfondandola completamente.

“Piccolo! Tutto bene?”

L’Uomo Ragno aveva agito velocemente, ed ora stava chino su Warwolf che non dava apparentemente segni di vita. Non fece in tempo a sentirne i segni vitali perché si ritrovò addosso Weird che come un missile vivente si era proiettato in avanti dalle macerie che fino ad un attimo prima l’avevano sommerso.

Il senso di ragno era sovraccarico di stimoli e non aveva funzionato come avrebbe dovuto e questo per Peter voleva dire guai. Dall’impatto capì subito che la forza dell’avversario era in qualche modo cresciuta dal loro ultimo incontro alla fortezza Saracina.

Non poté far altro che mettere in atto una delle sue più vecchie ed efficaci strategie per affrontare i colpi di chi gli era fisicamente pari o superiore:

 assecondò l’impatto senza opporre resistenza ma saltando lui stesso; lasciò che la naturale elasticità delle proprie ossa geneticamente alterate assorbisse gran parte dell’energia cinetica e si lasciò trasportare in quel volo orizzontale contro il muretto che andò in frantumi ed entrambi caddero per oltre una decina di metri giù, sulle sponde del Tevere le cui acque ribollivano percorse da lampi di forza.

Il Ragno riuscì a tenere la testa sollevata e rotolò diversi metri da Weird che sembrava non aver accusato molto la caduta.

“Bastardo figlio di troia! È dal nostro ultimo incontro che sogno di rifarmi delle botte che mi hai dato.”

“Accidenti, sei un tipo rancoroso. Non dovresti, sai? Finirai per avvelenarti il fegato.”

Disse il tessiragnatele mentre dandosi lo slancio con le mani si rimise in piedi.

Weird si mosse rapido, molto più di quanto ricordasse fosse capace, e tentò di agganciargli il volto con un paio di ganci ma lui si difese seguendo con le mani i colpi e gettandoli verso l’esterno, facendo si che quello si ritrovasse con le braccia incrociate. Lo spinse in avanti colpendo con il palmo aperto il petto, per sbilanciarlo, e con il destro gli sferrò quattro velocissimi colpi diritti al naso che sembrava fatto di ferro. Al quarto pugno, sentì questo rompersi sotto le prime tre nocche arrossate e doloranti, e vide il sangue schizzare attraverso l’aria e macchiargli la maschera. Purtroppo, senza il suo senso di ragno, non si accorse del calcio che Weird gli sferrò alla coscia. In realtà aveva mirato ai testicoli ma la posizione del Ragno era tale che questi erano fuori portata. Il risultato fu comunque buono per il tirapiedi di Quest, e sotto la maschera Peter digrignò i denti. Con un doppio pugno a frustrata tentò di spaccargli la mascella ma l’Uomo Ragno si piegò all’indietro e, dandosi una poderosa spinta con i dorsali colpì con una testata di nuovo il naso di Weird che si era ritrovato completamente scoperto.

“Cazzo!!!”

Urlò inferocito e stavolta fu lui a colpire a sorpresa il Ragno con una testata che lo mandò a rotolare un paio di metri all’indietro.

Mentre l’arrampicamuri barcollando si rimetteva in piedi e si teneva la fronte, Weird portò entrambe le mani al naso.

“Figlio di buttanda! Lurido bastardo! Bi hai spaggato il naso! Ci denevo al bio bel nasino!!! Ora dovrò fare come Giago e rifarbene udo nuobo!!! Mi rideraddo duddi dietro!!! Cazzo, cazzo, cazzo!!!”

Avanzò dandosi la spinta con la gamba destra, la testa ben incassata tra le spalle, gola e sterno protetti dalle stesse braccia alzate a difesa davanti a sé.

Peter non riusciva più a vedere bene, e per le lenti incrinate e per il sangue che dalla fronte gli era colato sugli occhi, tuttavia aveva una certa esperienza di corpo a corpo e non gli serviva il suo senso di ragno per prevedere le mosse del suo nemico. Giocò d’anticipò e con velocità disumana si scansò si lato, evitando di venirne nuovamente travolto. Quello punto il piede sinistro in terra e ruotò quasi fosse un compasso vivente ma prima che potesse colpirlo, sentì bruciargli entrambi i gomiti.

L’Uomo Ragno li aveva colpiti con due velocissimi diretti.

Nonostante la resistenza notevolmente aumentata sentiva ugualmente dolore e aveva sentito le ossa scricchiolare. L’energia accumulata dal lupo si stava rapidamente esaurendo e tentò allora di sollecitare psichicamente la mente del Ragnetto per nutrirsi della sua paura.

“Pessima mossa, mr!”

Gli urlò quello che eseguì una piroetta all’indietro e lo colpì con un doppio calcio al mento. Sentì i denti tremare e la bocca riempirsi di sangue.

L’Uomo Ragno si era appiattito a terra, una mano sollevato sul lato destro e la gamba sinistra distesa mentre stava piegato sull’altro ginocchio.

“Di attacchi psichici ne ho subiti talmente tanti che ormai so riconoscerne uno non appena tentano di sferrarlo e a giudicare dalle sensazioni che ho provato, volevi alimentare la mia paura. E’ di quella che ti nutri eh?”

Scattò in avanti, si abbasso evitando il pugno di Weird come aveva già fatto prima e nuovamente lo colpì con un pugno allo stomaco.

“È questo quello che hai fatto al ragazzo? E’ così che lo hai messo sotto?! Disgraziato bastardo! È poco più di un bambino e tu non ne hai avuto nessuna pietà! Lo hai massacrato di botte divertendoti come un pazzo!!! Sei solo una lurida sanguisuga psichica.”

Weird fu rapido e lo colpì alla mandibola con un calcio rovesciato.

Biascicò qualcosa mentre sul volto si era dipinto un ghigno di selvaggia follia e tentò di prenderlo alle tempie con il taglio delle mani ma l’Uomo Ragno alzò entrambe le braccia proteggendosi in tempo. Tuttavia non evitò la ginocchiata al ventre che lo fece cadere in ginocchio. Weird gli afferrò la testa, stringendo con forza le dita sul cranio, fino a farlo scricchiolare pericolosamente.

Ci fu un lampo di luce su, in alto, mentre il vento ululava furioso disperdendo le urla delle persone che cominciavano a rendersi conto del pericolo in cui si trovavano.

“Hai ragione! Mi nutro di paura e il tuo amico è stato un ottimo pasto! Sono diventato così forte che ora per nutrirmene non ho bisogno di trovarmi vicino alla mia vittima e posso farlo anche ad una grande distanza. Se potessi sentire quello sento io… ah! Su si è scadenado il banico! Eheheheh! La broberbiale seddima cavalleria! Solo che inbege di aiudare de, sta aiudando me!”

Diresse la sua faccia contro il suo ginocchio in corsa e l’impatto per poco non tolse i sensi a Peter. I vetri delle lenti andarono in frantumi, finendo in terra e lo sollevò da terra colpendo un paio di volte lo stomaco.

“Tutto… tutto qui? Sono stato picchiato da vecchiette più vigorose di te… sai una cosa? Ti credi tanto cattivo ma sei solo uno dei soliti stronzi che mi capita di incontrare sulla mia strada…”

Weird lo guardò, sgranò gli occhi e poi rovesciando la testa indietro rise sguaiato e cattivo.

“Sei mordo! Figlio di buttana ormai sei bello e che mordo…”

“Non lo dire… non mi sottovalutare… lo hanno fatto in tanti…”

“Ah, si?”

E detto questo lo colpì al volto con un diretto che lo scaglio nelle vorticanti acque del Tevere.

Lentamente si portò sul limitare dell’argine scrutandone le acque percorse da una vaga e pulsante luminescenza verde.

“Allora, Uomo Ragno! Come gi si sende ad essere mordi?...”

Il suono secco che provenì dalle basso lo colse del tutto impreparato e quando spaventato abbassò lo sguardo vide un groviglio grigio che gli aveva ricoperto le gambe fino al ginocchio incollandolo letteralmente a terra.

Con alti spruzzi d’acqua, l’Uomo Ragno che si era acquattato sul fondo, si spinse con tutta la forza di cui erano capaci le sue gambe, si era lanciato in alto uscendo dal fiume in sommovimento e volò, ruotando su sé stesso, alle spalle del suo avversario.

Gli fece passare un sottile filo di ragnatela intorno alla gola e, spingendo contro la schiena sulla quale era aderito, tirò indietro.

“Cazz…”

Boccheggiò Weird, ora egli preda della paura, mentre l’Uomo Ragnò lo sbeffeggiò:

“Chiacchiere, chiacchiere e ancora chiacchiere! Non riesco a capire perché a voi cattivi piaccia tanto chiacchierare! Dovevi ammazzarmi invece di vantarti di tutto quello che mi avresti fatto ed invece mi hai dato il tempo di sistemarti un paio di tele d’impatto sulle gambe senza che te ne rendessi conto. Dio mio, che perdente che sei! Te l’ho detto, te lo ripeto, sei solo uno dei soliti stronzi falliti che mi capita di incontrare sulla mia strada! Questo è per il ragazzo!!!”

Urlò tirando finché Weird, con la bocca coperta di schiuma arrossata dal sangue, rovesciò gli occhi e svenne.

Peter si lasciò cadere a terra e subito cercò di tirare la maschera su fino al naso. Si voltò e stavolta fu lui a vomitare in terra. Si sentiva morire ma non fermarsi era un lusso che non poteva permettersi.

 

Quest, ridotto a pochi brandelli di carni bruciate colpì con una nuova scarica Polidori. Il raggio sciolse uno ad uno i nodi del principale scudo di difesa preposto dal mago per la propria personale difesa e buona parte dell’energia gli si riversò addosso. Non riuscì a smorzarla efficacemente e ne sentì il morso sulla pelle anche attraverso il campo di forza mistico che si stendeva lungo il proprio corpo.

Strinse i denti e piegò il ginocchio in terra.

Purtroppo le cose erano andate di male, in peggio. Quest si era rivelato ben più resistente del previsto e qualcosa era occorso a Rugantino, poiché il proprio rapporto simbiotico con la città si era improvvisamente destabilizzato. Non poteva contare più su tutta l’energia che aveva avuto a disposizione poco prima.

“Merda!”

Esclamò in preda alla rabbia e alla frustrazione mentre sentiva la risata di sfida di Quest propagarsi attraverso la sua mente.

Gli ci volle un po’ per rendersi conto di aver sentito, nella foga della battaglia che ancora infuriava, lo stridere di diverse gomme.

Erano le Unità Speciali dei Carabinieri.

I Nuclei Crisi Paraumane e Mutanti erano giunti sul posto e si accorse che i cieli erano solcati da un elicottero e, più in alto, da un aereo da ricognizione che in quel momento stava riprendendo tutto quanto.

Probabilmente anche un paio di satelliti spia dovevano essere all’opera.

Dalla parte posteriore di una delle camionette scesero un paio di agenti con indosso tenute da combattimento Gladiatore 101, frutto della collaborazione tra Beretta, F.I.A.T e Alenia divisione Aereo Navali.

I carabinieri che indossavano le potenti armature per gli scontri con individui dotati di facoltà extra umane erano stati sottoposti ad un duro addestramento per utilizzarne al meglio le potenzialità e gestire efficacemente quel tipo di situazione.

Almeno questo era quello che si andavano ripetendo.

Renato Carbone, l’ufficiale al comando di quel operazione si trovava all’interno di un’Alfa GT corazzata con piastre di materiale ceramico e seguiva tutta l’operazione.

Nonostante la luce, riuscì chiaramente a distinguere che uno dei due era Polidori.

"Unità bravo uno e due, ascoltate, non aprite il fuoco sul soggetto coperto di luce arancione, ripeto, non aprite il fuoco su di lui. Dovete dargli supporto contro il soggetto ricoperto di luce dorata, mi sono spiegato? Bosio, assicurati che il perimetro sia stato sigillato e che non ci siano più civili da evacuare e, mi raccomando, tienimi fuori dalla palle la stampa. Unità Aquila uno e Poiana uno, occhio ad eventuali Guardiani in arrivo, non voglio l’intromissione di quegli stronzi di Fazione Umanità.

Tenetemi aggiornato su tutti i dati che ci vengono mandati da Pratica di Mare. Ok gente, al lavoro e mi raccomando! Prudenza.

Polidori aveva voltato solo per un istante il capo in direzione dell’auto dell’ufficiale e l’aveva riconosciuto immediatamente, indirizzandogli un sorriso che voleva dire tutto bene ma l’uomo sapeva bene che le cose non stavano andando per niente bene. Il centro storico era divenuto teatro di guerra per prima volta da quando erano iniziati gli interminabili scontri tra Nazion Mutante Fazione Umanità. Chiunque fosse il tipo ricoperto di luce d’oro non gli piaceva, specie se poteva mettere in difficoltà uno come Polidori. Maledì Gemini, Squadra Italia e le Brigate Azzurre per aver scelto proprio quella sera per essersi rese irreperibili.

Gli agenti De Salvo e Martorana si apprestarono ad eseguire la tattica otto – tre, conosciuta in gergo come la tenaglia, portandosi ognuno su di un fianco diverso del bersaglio acquisito. Le cam digitali trasmettevano le immagini sul multi screen visualizzato all’interno degli elmetti e gli elaboratori interni mandavano una serie di valori che indicavano temperatura, dispersione energetica, tipo di energia, distanza e ogni altro tipo di dato analizzabile.

Attaccarono all’unisono usando i cannoni concussion, un'unica potente scarica a cui seguirono un paio di impulsi per tentare di cortocircuitare il campo magnetico.

Polidori intanto ne approfittò per riprendere fiato e per fare l’unica cosa che a quel punto poteva fare: contattare un aiuto esterno.

 

Quest era rimasto leggermente sorpreso. I due avevano avuto una buona pensate e quasi erano riusciti a prenderlo con le proverbiali braghe calate.

Tuttavia non era così facile sorprenderlo ed usò i suoi poteri per smaterializzarsi e rimaterializzarsi di fianco all’agente De Salvo che reagì rapidamente, anche grazie al supporto del computer di bordo e colpì con il taglio della mano il collo di Quest che si spezzò con un sinistro rumore.

Augusto De Salvo rimase sorpreso quando Quest gli afferrò il braccio e cominciò a stringere con tanta forza da piegare il metallo e l’esoscheletro realizzato in titanio. Come poteva fare una cosa del genere? Non riuscì a trattenere un grido di dolore e subito Filippo Martorana corse in suo aiuto colpendo con una spallata quel corpo mutilato eppure incredibilmente forte e resistente, mandandolo contro un lampione le cui lampade erano precedentemente esplose. Questo si piegò disegnando la forma del corpo del trafficante d’armi che per tutta risposta emise una scarica dagli occhi.

Gli accumulatori ne assorbirono gran parte ma con orrore, entrambi i piloti, scoprirono trattarsi di forza nucleare debole: radiazioni!

Squadre anti decontaminazione all’opera! Unità Bravo tre e quattro, entrate in azione e recuperate bravo uno e due! Falchi, ritirarsi immediatamente! Voglio tutti fuori dal perimetro di battaglia, tranne il team 9. Gaslini! Gladiatore Bravo cinque in operativo in nove secondi massimo!

Carbone non aggiunse altro e, noncurante del pericolo, scese dall’auto ingiungendo al suo uomo alla guida, di coprirlo.

Si diresse verso una delle camionette addette al trasporto dei Gladiatori, mentre da quella di fianco uscivano Tre e Quattro, gli agenti Luigi Pacciana e Massimo Rigoni, per andare a recuperare i compagni che si erano ritrovati sotto a subire l’attacco di quello che doveva essere un paraumano di classe cinque. Carbone fu rapido nell’infilarsi nel veicolo dove i tecnici lo aspettavano. Si tolse il berretto e la giacca e lasciò che cominciassero a montargli addosso l’armatura da battaglia.

Massimo lanciò una granata fumogena che distrasse Quest quel tanto che bastava perché Luigi potesse prendere i compagni di squadra e portarli indietro, verso Mamma Orsa 1, dove il personale aveva già indossato le tute anti radiazioni e aveva preparato la speciale schiuma contenente in cui sarebbero stati avvolti fino all’arrivo al centro di decontaminazione nucleare di Anguillara.

Massimo aprì il fuoco con i cannoni concussion insellati nelle braccia ma con sua sorpresa i colpi venero tutti respinti. La tetra e orripilante figurava avanzò levitando attraverso l’aria, mentre la sua aura pareva rinvigorirsi. Poi accadde qualcosa che aveva dell’incredibile. I raggi d’energia, contro ogni legge della fisica, parvero congelarsi a mezz’aria e, dopo aver tremato per alcuni secondi, tornarono indietro colpendo la loro stessa fonte.

Si rialzò, e vide che il suo comandante si era frapposto in tenuta da combattimento, tra lui e il misterioso paraumano.

Gli fece l’inequivocabile cenno di ritirarsi e al primo tentativo di protesta ripeté di nuovo il gesto, in modo perentorio.

Carbone lanciò alcuni avvisi all’indirizzo di Quest, più per prendere tempo che per altro. Si chiedeva cosa diavolo stesse combinando Polidori e sperò che, qualsiasi cosa fosse, si sbrigasse.

Quest gli si scagliò addosso improvvisamente ma con una mossa di Judo, Renato usò il suo stesso slancio per farlo finire addosso alla cancellata di un giardino privato che si piegò spezzandosi con un forte clangore metallico.

Usò i truster situati sulla schiena per rimettersi di nuovo in piedi e subito si voltò in direzione del bersaglio che per tutta risposta emise di nuovo una scarica di radiazioni.

Stavolta non era impreparato come i suoi uomini ed attivò uno speciale schermo magnetico contro le radiazioni. Da un contenitore posto sul cinturone, estrasse quello che sembrava un velo e se lo mise addosso.

Sorrise soddisfatto e partì alla carica.

Quest lo afferrò al collo con l’unico braccio rimasto, stringendo con forza tale da comprimergli persino la gola nonostante la protezione.

L’Uomo Ragno comparve all’improvviso, spuntando dalle spalle di Quest e lo colpì con entrambi i pugni chiusi a maglio sulla testa.

Normalmente questi avrebbe reso la sua struttura molecolare così densa da lasciare l’aracnide umano con le mani storpiate ma aveva consumato parecchia energia e non gli stavano dando il tempo di reintegrarla in quella forma sempre meno stabile.

Lasciò la presa e si voltò in direzione dell’uomo che da due settimane gli dava ossessivamente la caccia attraverso l’Europa.

Carbone aveva visto l’Uomo Ragno in azione su via Nazionale e sapeva di non essersi sbagliato. I rapporti ricevuti dal Crown e dalle Brigate Azzurre, non facevano altro che confermare quanto già sapeva. Aveva studiato diversi filmati riguardanti il tessiragnatele e aveva capito subito di essere di fronte all’originale e non ad un’imitazione.

Colpì con una doppia scarica Quest alle spalle, facendolo ondeggiare vistosamente e subito lo aggirò portandosi sul suo fianco destro mentre il Ragno si mise sul lato opposto.

Si capiva subito che era un veterano e non uno sprovveduto novellino. Non c’era bisogno che si parlassero per capire cosa dovevano fare e coordinarsi. Due tele di impatto volarono verso Quest e si infransero sul suo campo di forza ricoprendolo di fluido. Questi ne fu sufficientemente distratto perché Carbone potesse tentare di colpirlo. Mirò alla testa, consapevole che con il potere dimostrato non poteva di certo permettersi di prenderlo sotto gamba.

Invece Quest reagì, e un lampo di forza mandò a sbattere l’Uomo Ragno contro un’auto, di cui piegò uno sportello e Carbone contro l’asfalto diversi metri più giù, scavando un profondo cratere.

Fu allora che avvenne l’esplosione di luce scarlatta- arancione e Polidori emerse da una sfera di fiamma liquida.

 

L’acqua del Tevere si sollevò per decine e decine di metri nell’aria. Gli stessi sampietrini uscirono fuori dalle loro secolari sedi involandosi verso l’alto. Ancora una volta la città si destava e rispondeva al richiamo del suo Guardiano che ora poteva contare anche sul supporto del Signore delle Arti Mistiche.

Di fianco a Polidori comparvero le ombre di tutti i suoi predecessori:

Catone l’Uticense, Augusto, Cassio, Tito, Ovidio, Catullo, Plinio il Vecchio, Seneca, Papa Leone, Papa Gregorio XII, Papa Pelagio II, Papa Onorio, il primo Pasquino, Caravaggio, e tanti altri;

il colpo magico penetrò tutte le difese di Quest e ne martoriò ulteriormente il corpo già straziato in modo grottesco.

“Uomo Ragno, ascoltami! Ho bisogno del tuo aiuto, e dell’aiuto dei tuoi due compagni.”

“Cosa?...”

“Non perdere tempo a domandarmi! Aprimi il tuo cuore.”

Peter ricordò cosa aveva fatto Darion quando avevano combattuto il principe degli Imperi Aerei Inferiori Pazuaezus e senza indugiare fece quanto gli era stato detto. Prese un profondo respiro ed avvertì di nuovo la sensazione di estraneamento dal suo corpo, mentre veniva avvolto in una forte luce blu.

Rugantino, ancora seduto in terra, aveva già avvertito il richiamo dell’amico e si era preparato.

Warwolf aprì gli occhi di scatto e mando un alto ululato.

 

Carbone era atterrito. Non aveva mai visto nulla del genere. L’aria era di nuovo satura di energia e Polidori sembrava trasfigurato in vivente luce mentre stava inequivocabilmente avendo la meglio sul suo avversario.

Questo urlava ormai preda delle correnti mistiche che stavano attaccando selvaggiamente il suo stesso essere e, proprio a pochi momenti dalla fine, una voce si levò:

“NO!!! Fermati!!!”

Il contatto con l’agente dell’ordine venne bruscamente interrotto e Polidori, meravigliato, gli urlò:

“Sei impazzito o cosa?!”

“Controlla! Controllalo bene!”

Lo implorò l’Uomo Ragno, la cui testa era ormai prossima ad esplodere.

Polidori, improvvisamente preoccupato, fece come gli era stato chiesto e non riuscì a trattenere un grido di sorpresa.

Interruppe immediatamente l’attacco e osservò terrorizzato Quest.

Quest’ultimo emise una sommessa ed affannata risata mentale.

IL RAGNO è STATO SAGGIO A DIRTI DI SMETTERE. SE FOSSE CONTINUATO UN ALTRO PO’, ORA SAREBBE LA FINE PER TUTTI…

Non disse altro e la sua grottesca figura sparì nell’aria.

 

Carbone aveva preteso una spiegazione e Polidori gliela aveva promessa ma solo più tardi perché lui ed i suoi compagni avevano assolutamente bisogno di riaversi.

Li aveva portati tutti nel suo Sancta Sanctorum nella Piramide Cestia, dove li aveva raggiunti la proiezione Astrale del Dottor Strange.

Warwolf aveva l’aria abbattuta ed umiliata e se ne stava seduto in terra, in disparte, fissando il pavimento chiuso in un triste silenzio.

Sentì un tocco gentile sulla spalla e alzò lo sguardo verso l’Uomo Ragno:

“Com’è che dice Rugantino? Ah, si: a ragazzì!” fece in tono tenero ed amichevole Perché sei così giù?”

“Perché? Perché tutto quello che ho saputo fare è stato… è stato prendere un sacco di pizze e niente altro.”

L’Uomo Ragno, che aveva tirato la maschera su fino al naso, sorrise gentile:

“Benvenuto nel nostro mondo. È una cosa che può succedere e quando sei nuovo del giro, sicuramente succede molto più spesso. Quando avevo la tua età, prendevo schiaffi un giorno si, e l’altro pure. Adesso è più difficile che succeda ma ti assicuro che la mia buona dose di legnate la prendo tutt’ora. Non devi buttarti giù perché hai incontrato un avversario che ti ha messo sotto. Non ti sei arreso fino all’ultimo e già questo è degno di ammirazione. La sconfitta fa parte dei rischi e tu sei stato fortunato: avrebbe potuto andare peggio; sei ancora qui, dunque non abbatterti e se ancora sei intenzionato a percorrere questo cammino come credo che farai, fai tesoro della tua esperienza e cerca di metterla a buon frutto.”

Il ragazzo sorrise, e sentì una lacrima scendergli lungo il muso. Non disse nulla ma si limitò a porre a sua volta la propria mano sulla spalla dell’eroe.

“Insomma, se Polidori fosse andato avanti, saremmo tutto morti.”

A parlare era stato Rugantino che si era sistemato a gambe incrociate sull’altare e teneva in mano una bottiglietta d’acqua dalla quale ogni tanto prendeva una sorsata.

“Si. Come Polidori stesso può confermare a tutti quanti voi, la sua struttura atomica sembrava tutt’altro che stabile. Non credo che il processo sia stato provocato dal suo attacco ma il combattimento e lo sforzo devono averlo in qualche modo peggiorato. Quest non si limita semplicemente a cambiare aspetto ma cambia letteralmente corpo. È orribile da pensare ma credo che sia una qualche sorta di parassita, ed io di queste cose me ne intendo, che per sopravvivere deve unirsi di volta in volta ad un ospite diverso, solo che nel farlo ne destabilizza la struttura. L’esplosione che poteva conseguirne, avrebbe rilasciato una quantità di energia tale da far sembrare la bomba h una miccetta.”

Il Dr. Strange aveva seguito quel discorso con grande interesse ed intervenne:

Se non fosse stato per i tuoi poteri precognitivi, avrebbe potuto trattarsi di un disastro di proporzioni bibliche. Tuttavia la minaccia che rappresenta questo essere al nostro mondo è lungi dall’essere terminata. Ora che sappiamo quale pericolo rappresenta, dobbiamo assolutamente ritrovarlo e neutralizzarlo.

Tutti i presenti assentirono e l’Uomo Ragno si disse che sicuramente, molto presto, avrebbe rincontrato Quest.